“I social media sono la peggior minaccia per la società“, fu questa l’affermazione con la quale il premier turco Recep Tayyip Erdoğan dichiarò guerra agli internauti quando, grazie alla rete, le proteste partite da Gezi Park rimbalzarono da una parte all’altra del globo. La comunità internazionale, scossa dai racconti di chi era partecipe o si sentiva toccato delle manifestazioni di protesta, recepì ciò che stava accadendo nelle strade turche grazie soprattutto ai testimoni che in quei giorni riversarono sui social network le parole e le immagini che riempivano le loro coscienze.
Una prima contromossa degli accusati non si fece attendere a lungo: giovani volontari furono arruolati con il compito di promuovere le idee dell’AKP (il partito di cui Recep Tayyip Erdoğan è leader) e monitorare le discussioni che sarebbero avvenute su Twitter, Facebook e Youtube. L’intento, perlomeno quello dichiarato, era di diffondere un messaggio positivo da contrapporre alle informazioni che venivano diffuse attraverso i social media: informazioni false, secondo i funzionari responsabili della campagna. La strategia però, a quanto pare, non ha dato i risultati sperati… Notizia di questi giorni: il premier turco è tornato all’attacco, puntando il mirino su Twitter e Youtube. Accessi bloccati.
Queste azioni rendono sempre più evidente quanto i social media rappresentino, più di qualsiasi altro mezzo, una minaccia divulgativa delle trame più oscure della nostra epoca; grazie alla loro potenzialità virale riescono a scardinare i lucchetti dei recinti in cui sono rinchiusi i media tradizionali.
Social media minaccia per la società? Sicuramente non per la libertà dell’individuo.